24 Gen Vite attese | Andrea Ferrato
Durante la settimana difficilmente entravo.
Troppa gente e forse anche troppo rumore.
Per assurdo la confusione non mi dava un senso di protezione da chi avrebbe potuto solo chiedersi cosa ci facessi io lì.
Al contrario, la domenica, il campo di atletica della prima periferia diventava uno spazio isolato, ritagliato dall’area urbana.
Ufficialmente chiuso al pubblico, tutti quelli che erano dentro condividevano lo stesso misfatto: l’entrata dal foro sulla rete di recinzione.
Tutti particolarmente motivati, slegati dalla canonica idea di domenica, consapevoli che molti non li avrebbero capiti.
La ragazza con i capelli corti era tra questi, non era costante nelle sue presenze ma era quella che, più degli altri, era più in sintonia con questo posto fuori posto.
Nonostante fosse di sicuro sopra i quaranta, la definizione di ragazza le si addiceva perché i suoi modi, non necessariamente la fisionomia, rimandavano a modalità comportamentali giovanili, tipico delle persone un po’ slegate dal dato anagrafico.
Forse era l’unica che non ascoltava musica mentre correva, solo ogni tanto si fermava dove aveva lasciato la borsa, sempre lo stesso posto, per controllare il telefono, probabilmente per curiosare su come stava proseguendo la vita là fuori.
Conosceva un po’ tutti gli altri frequentatori domenicali del campo, li salutava tutti senza mai fermarsi a parlare se non per qualche frase apparentemente cordiale, mentre continuava a camminare.
Anche quando era l’unica a correre distante dalla domenica, la mia presenza non la infastidiva; probabilmente per la mia figura anziana, d’un grigio sempre più simile a quello del cemento consumato delle gradinate, quasi mimetizzato con l’assenza delle altre persone.
Oppure, e questo è quello che mi piaceva pensare, perché entrambi tacitamente complici di un ritaglio di tempo rubato alla consuetudine.
Oggi la ragazza con i capelli corti non è venuta, non viene sempre. Due coppie ed un tipo alto fasciato di nero circolano a diverse velocità come movimenti anarchici di ingranaggi di un orologio che ha dimenticato in quale verso far girare le lancette.
La tasca vibra, la vita là fuori mi informa che prosegue.
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