18 Feb Spaesamento nel fuori bolla | Claudia Vanti
Fashion Week goes digital e io mi sento persa, almeno un po’.
In teoria cambia poco, perché il 99% delle sfilate e delle presentazioni le ho sempre viste in video o in foto, ma sapere che ora tutto si svolge a porte chiuse o in studio incrina leggermente l’architettura portante della “bolla”.
Poco importa che la media dei contenuti prodotti stia aumentando in qualità (e non penso necessariamente ai vestiti ma a quell’insieme di sceneggiatura e scenografia che fa loro da base), la mancanza della dimensione sociale degli eventi rende più immateriale quello che per addetti a vario titolo (anche labile) è di fatto una sospensione temporale che isola – fortunatamente – dalle normali questioni quotidiane e dal quantomeno discutibile e disdicevole “mondo esterno”.
Quando ci sono le sfilate si parla di quello e tant’è, non c’è fibrillazione di governo che tenga (potremmo smettere di abusare di termini come fibrillazione, terremoto, qualsiasi cosa-opoli…? Grazie), niente è più rassicurante e astraente di quell’infinita lista di uscite, di streaming e addirittura di foto degli odiati sedicenti fashion blogger dell’ultima ora (poverini, che fanno ora??).
Una terapia d’urto che dura circa un mese, da New York a Parigi, passando per Londra e Milano e che per tutto questo febbraio sarà vissuta come non mai dalla propria cameretta.