29 Giu L’arte del rattoppo | Claudia Vanti
Mi piace molto leggere i classici della letteratura nelle traduzioni originali degli anni ‘30-’50: il linguaggio letterario italiano del periodo pre e post bellico sembra abbastanza stridente con le numerose ambientazioni borghesi o addirittura alto borghesi di molti romanzi dell’epoca.
Il periodo che con il cinema ci ha restituito un’immagine di vestaglie in satin bordate da piume o pelliccia, lunghi abiti filiformi in chiffon, giacche Bolero piccolissime, strizzate in vita e con le spalle segnate e, più tardi, le gonne a ruota del New Look di Christian Dior, in letteratura ci offre invece un linguaggio sbrigativo, diretto, con espressioni che non si possono definire del tutto rudi – a volte sono solo desuete – ma danno l’illusione di trovarsi all’interno di una sceneggiatura di un gangster movie.
In “Oltre il fiume” di John Galsworthy (un premio Nobel, non un innovatore ma neanche uno scribacchino) troviamo: “Non può venire a rompermi le uova nel paniere a casa, il papà si inquieterebbe”. E ancora: “Pigliane una tazza” (di tè); “Qualche cosa bisogna che faccia, i miei sono al verde come tutti”; “Dobbiamo approfittare finché il ferro è caldo”.
Ma il verbo più sorprendente che ho trovato fino ad ora, in questo che sembra un sequel letterario di Downton Abbey, con giardini immensi, cappelli a cloche e servitù guantata, è uno strano sinonimo di riappacificare: “non c’è la possibilità di rappattumarli?” (due coniugi in lite, Lord Craven e la giovane e bellissima Lady Clara).
Rappattumare, mi ricorda un po’ anche il rattoppo, la tecnica tanto usata per fare durare il più a lungo possibile abiti e giacche sopravvissuti alla seconda guerra mondiale.
E che può tornare sempre utile.