19 Dic Il filo del discorso | Claudia Vanti
Dal 14 dicembre siamo tutt* su Threads, cloni di Instagram o per la migrazione di massa da X (ma quanto è respingente un logo che sembra un cartello di sbarramento e/o lo stendardo di Casa Bolton del Trono di Spade?).
Se ci fosse stato bisogno di una campagna di comunicazione a supporto non avrebbe potuto essere più efficace del primo thread di Dior: Everything begins with a thread (Tutto comincia con un filo).
Vale per Dior e per i vestiti in generale, il filo nel telaio crea i tessuti oppure è lavorato a maglia, mentre un altro filo tiene insieme i pezzi di un abito.
E da lì nasce il filo del racconto che si porta dietro idee, mani, traiettorie visive, depistaggi calcolati, elementi di disturbo che alla fine riconducono a un abito, a quell’abito.
Un filo d’Arianna, in pratica.
E i Threads di Meta?
Cosa aggiungono alle caption e ai testi sempre più lunghi di Instragram che da tanto tempo non è più un social puramente visivo?
Serve a tenere separati i due emisferi cerebrali degli iscritti, emisfero destro su Instagram, emisfero sinistro su Threads?
Quello che è sicuro è che tutto comincia con un filo, non con un λόγος (lógos) – e qua sono a rischio eresia – perché la parola, senza il filo che la lega a un’altra, resta incompiuta.
E più il filo è ingarbugliato più le idee e le immagini che ne scaturiscono accendono i pensieri.
E incendiano la creatività.