25 Mar Libertà creative | Claudia Vanti
Si sta.
Mentre le stratificazioni delle opinioni granitiche captate per l’aere si trasformano sempre di più in incrostazioni.
Si sta, e in teoria, ma anche in pratica, si continua a pensare a vestiti e affini, che, come diceva il compianto Lagerfeld, quando si comincia a stare sempre in tuta “è l’inizio della fine” (a dire il vero diceva “quando si comincia a uscire in tuta”, ma l’upgrade è dovuto ai tempi. E comunque è meglio essere più restrittivi, è dal salotto che si imbocca la via della perdizione).
Ieri un amico designer mi ha fatto notare che solo i vestiti, fra tutti i prodotti industriali, hanno la libertà di potersi ispirare alle situazioni di crisi, alle emergenze, alle catastrofi, alle guerre, alle contingenze spiacevoli.
La stessa cosa avviene per i film, la letteratura, l’arte, la musica, ma non è concesso al design, e neppure all’architettura se non in funzione commemorativa.
Non ci avevo mai pensato più di tanto, dandolo per scontato, ma non è poco, volendo.
E avendo qualcosa da dire.