21 Feb Soldatino di piombo | Andrea Ferrato
La musica scorre tra le lettere che digita e non scrive, sa che non è la stessa cosa ma la materialità della carta oggi sarebbe troppo intrisa di significati.
Una lettera che compare e copre una irrilevante parte del bianco del video lascia poche tracce nel cuore.
Ha chiuso tutti i collegamenti con l’esterno per provare a scansare la banalità assunta a scudo dei dolori sottili di cui non ci si riesce a liberare.
La musica disinfetta il momento, pulisce e scopre la sua vita ferita; il volume non protegge abbastanza e i suoi pensieri fasciano come possono a isolarlo dai gridolini del televisore.
All’incrocio delle otto meno dieci c’era sempre la solita ragazza addobbata da ragazza gradevole che con il solito sorriso gradevole chiedeva l’elemosina.
Il sorriso iniziava dal muso dell’auto, continuava davanti alla faccia annoiata e assonnata dell’automobilista e terminava all’altezza dello sportello posteriore; lo spazio fino al muso dell’auto seguente per diventare una piaga di odio e disagio e poi il ciclo ripartiva fino al nulla osta del semaforo.
Fissa la barra verticale che lampeggia in attesa di trasformarsi in un qualsiasi carattere.
La barra lampeggia come pulsa il suo cuore e, indifferente come il suo battito, avanza inseguita dalle parole che vorrebbe urlare ma che diligentemente, come sempre, fa tradurre alle sue dita che sanno come parlare al video leggermente meno bianco.
Il sonno è la cosa migliore in queste situazioni, la mente e l’anima si avvolgono in uno spazio incolore a cui si affidano le responsabilità fino al mattino successivo.
Stavolta però il sogno inaspettato della notte passata lo turba ancora e non è ben chiaro se il buio darà la solita soluzione.
La creativa del gruppo oggi non era al suo posto, il liquido di una iniezione la stava addormentando nella sala bianca di qualche ospedale dei dintorni.
Non aveva lasciato trasparire nessun tipo di preoccupazione per l’intervento che avrebbe dovuto sostenere, solo un filo di tensione per i lavori che non avrebbe potuto seguire e qualche sorriso tirato prima di chiudere la settimana.
Lui l’osserva spesso perché è affascinato da come ognuno riesca a proteggersi dai propri simili in modi così diversi ed originali.
Lei ha una pelle bianca ed i lineamenti sfuggenti come gli spigoli di una parete appena intonacata; c’è qualcosa di giapponese nel suo modo di porgersi, sempre così moderato, ma una luce spagnola fiamma dai suoi occhi e tradisce il suo non voler essere dov’è.
Ora la musica si espande ed annulla il ticchettio dei tasti, la cuffia che preme sulle sue orecchie, un vago odore di tabacco prova a lenire in malomodo altri malesseri.
Gli chiedono di spiegare, di parlare delle sue parole; ma le sue parole sono già piegate dall’essere fissate in uno spazio vibrante e incerto.
Potrebbero tornare al bianco su cui stanno galleggiando e nulla cambierebbe; solo un cuore sintonizzato potrebbe forse giovarsi di questa polvere.
Lui perde il fuoco dello spazio sempre meno bianco e tutte le lettere ora sono frammenti neri che ricamano il tappeto sonoro della voce ruvida che canta il colore che serve ora.
“Buonanotte abbracci lontani, buonanotte lacrime calde; c’è sempre un posto tiepido per intrecciare le mani e vibrare di emozioni morbide.”
Decide di non perdere i momenti fissati e li riguarda con un singolare stupore, come guardare dall’alto la scia bianca e vorticosa che lascia la nave sul mare.
Domani riaprirà lo spazio sempre meno bianco e rivivrà la sorpresa di scoprirsi vivo ancora una volta e ancora una volta pronto, come un soldatino di piombo.