02 Mag Met Gala | Stefano Guerrini
Chissà se Rei Kawakubo quando arrivò a Parigi nel 1981 con la sua moda che ben poco aveva a che fare con il glam degli anni ottanta francesi (Karl da Chanel o i bizantinismi di Christian Lacroix) era consapevole che avrebbe dato uno scossone al mondo dello stile.
E lo ha fatto creando schiere di adepti e file di fan pronti a spendere cifre considerevoli se non per le proposte in passerella, spesso più vicine ad opere d’arte moderna che a capi da indossare tutti i giorni, piene di riferimenti filosofici e intellettuali, per la linea di camicie o quella di accessori.
Sono diventati must-have oggetti dal design semplice e lineare, ma con la griffe Comme des Garçons, forse non così invasiva come negli accessori proposti da altri designer, ma sempre visibile, per chiarire subito che il possessore appartiene ad una tribù di stile ben precisa.
Una in cui parole come agender, oversize, total black, minimal sono ben sottolineate nel vocabolario.
Ma è impossibile raccontare in poche righe l’importanza della designer giapponese, ci prova il Metropolitan Museum con una mostra che si preannuncia farà il tutto esaurito.
Stiamo scrivendo nelle ore precedenti all’inaugurazione di quello che è l’evento di punta del The Costume Institute, sezione del Metropolitan dedicata agli abiti che di base custodisce più di 35 mila costumi e accessori, e che è famosissima per la opening night delle sue mostre, quella che è nota ai più come Met Gala.
Gli americani, si sa, amano trasformare qualsiasi cosa in un evento da red carpet, e non hanno tutti i torti perché nel farlo rendono queste serate degli eventi mediatici sbandierati ovunque, e da quando c’è il web anche in maniera capillare, che giovano all’industria della moda, in primis a quella statunitense.
La serata prevede l’esibizione di un personaggio famoso, lontani i tempi in cui in scena appariva Cher vestita Bob Mackie, ora si parla di Lady Gaga, Florence and the Machine o i The Weeknd.
Ogni Met Gala prevede la sponsorizzazione di Vogue Us, con l’immancabile presenza del suo direttore Anna Wintour, in fondo se la moda è diventata un fenomeno globale un po’ lo si deve a lei e questa è la sua serata, e di un designer famoso che sborsa cifre notevoli per il tavolo principale dell’evento.
Quando la mostra qualche anno fa era dedicata al punk e co-sponsorizzata da Givenchy, per esempio, seduti al tavolo con Riccardo Tisci, all’epoca direttore creativo del brand, c’erano, fra gli altri e in ordine sparso, Madonna, Beyoncé, Kim Kardashian e Kanye West, Amanda Seyfried, Rooney Mara, Marina Abramovich, Pedro Almodovar. Come dire: la cultura pop dell’epoca contemporanea.
Per cantanti, attori, supermodel, redattori moda e stilisti è importantissimo essere invitati a questa serata, soprattutto come ospiti della tavolata di un brand e quindi senza il cruccio di dover pagare, ma solo quello, e non è poco, di scegliere cosa mettersi, ne sottolinea lo status di astro in ascesa, insider della moda che conta, influencer dei massimi sistemi e così via.
E, infatti, alzi la mano chi non ricorda Rihanna arrivare vestita suntuosamente con uno strascico enorme circolare all’apertura della mostra “China: Through the Looking Glass”, se non per la bellezza dell’abito, per i numerosi meme che circolarono nelle ore successive sui social, con tanto di pizza al posto dello strascico.
Ironia a parte, con quella serata la couturier cinese Guo Pei improvvisamente non era più una sconosciuta e la cantante ha espresso, grazie ad uno statement di stile, il suo ruolo di star indiscussa di questo nostro momento storico, diventando figura iconica.
È questa l’importanza del Met, se ci sei conti, se sei invitato sei una star.
Non si spiega altrimenti il motivo per cui non sono pochi i personaggi noti, e non farò nomi, che pur non essendo stati invitati fingono di esserci, con tanto di preparativi e foto fake sui social!