27 Giu La nostalgia del futuro | Andrea Ferrato
La narrazione più invasiva di questo periodo, le serie televisive, riscontra il maggior successo quando le storie raccontano futuri scuri e pesanti.
Sono scomparse le imprese in altri mondi forse possibili, le evoluzioni tecnologiche mirabolanti che toccavano i desideri.
Tutto parte da pezzetti di presente che vengono leggermente espansi sotto l’aspetto tecnologico e distorti e compressi sotto l’aspetto sociale.
Quasi come una specie di protezione dai tanti piccoli presenti distopici in cui siamo immersi.
Rapporti sterilizzati dalle meccaniche massimizzanti degli ambienti social, atteggiamenti estremizzati dalla convinzione di dover essere protagonisti, il nuovo costantemente interpretato ed usato con la lente del passato.
Come sabbia tra le dita è come se ci fosse, un po’ alla volta, scivolata via l’energia di immaginare un futuro e avessimo affidato il compito a questo complesso presente saturo di possibilità ma che non riusciamo a decifrare se non con un traduttore che non comprende la necessità di una lingua nuova.
Il presente ci è sfuggito di mano e con lui tutta quella consapevolezza che ci permetteva di proiettarci, anche solo con la fantasia, in un domani inedito.
Ci siamo e ci stanno convincendo che in fondo il futuro è un po’ quello che stiamo vivendo e quindi… ci accontentiamo.
E se questo è già futuro deve per forza funzionare e chi propone la soluzione più ovvia e più rapida è il benvenuto.
Ma quella sottile sensazione è lì, non si muove.
Non è una cosa per tutti, come non è sempre stato da tutti vedere oltre quell’insieme di fattori e di condizioni di cui è costellata una quotidianità.
Quel sottile dolore sopportabile è lì e si aspetta di essere osservato e curato; si aspetta di essere trasformato, di nuovo, in energia.