20 Nov Dimmi come viaggi | Stefano Guerrini
Stavo riflettendo proprio oggi da una poltrona di seconda classe di un regionale veloce su cui mi capita di salire spesso, chiaramente con carrozze strapiene e quella in cui ho trovato posto io senza riscaldamento accesso, che se dovessi quantificare in ore o minuti il luogo, anche se Douglas Coupland lo definirebbe ‘non–luogo’, in cui trascorro più tempo sarebbe proprio il treno.
Un sacco di volte amici o conoscenti mi han chiesto perché preferisco questo mezzo all’automobile, in genere me lo chiede chi non mi ha mai visto strillare improperi a destra e a manca mentre guido, e la risposta è sempre la stessa: “Vuoi mettere il tempo che puoi trascorrere a leggere, a mandare mail, ad ascoltare musica e contemporaneamente scrivere un articolo?”, per poi arrivare sempre a riconoscere che in vagone finisco spesso per addormentarmi, riposare, alle spese di chi viaggia con me, che deve sopportarmi russare!
Ma in realtà una cosa che non ho veramente mai confessato è che il treno è per me una elettiva fonte di osservazione del genere umano o, detta in maniera meno da Nobel per la sociologia, le carrozze di un Freccia Rossa sono un posto magnifico dove osservare come cambia la gente, come ci si relaziona gli uni con gli altri e venendo in ‘domo mea’ anche per capire come cambia il gusto, come le persone comuni si rapportano allo stile.
Escludendo le volte che mi chiedo se alcuni si siano mai veramente rapportati allo stile nella loro vita, tante le riflessioni nate durante i viaggi più disparati.
Oggi ad esempio ho avuto i miei cinque secondi di gloria quando al signore americano che volendo fare il galletto con la sua vicina di posto, perdendo tempo nel sistemare le cose, ho fatto notare che c’era un fila che voleva passare, me in testa ad essa, e che stava aspettando i suoi comodi.
Dopo aver ricevuto una specie di sfottò per risposta, arrivato al mio posto ho osservato il signore, giungendo alla conclusione che spesso l’abito fa il monaco.
Il ragazzo di un tempo, ora quasi sixty something brizzolato, indossava un jeans troppo attillato, una camicia troppo aderente ed entrambi al movimento richiesto dal riporre la valigia hanno rivelato la mancanza di un underwear di ordinanza sotto. Quelle horreur!
Non ci sono più i playboy di una volta, ammesso che siano mai stati in seconda classe.
Poi che dire del manager tutto impettito che ha deciso di sposare il credo che fu un tempo di Yves Saint Laurent e in epoca più recente di re Giorgio Armani, quello di indossare il nero con il blu. Avrei volentieri condiviso con lui chiacchiere sul guardaroba maschile, complimentandomi della scelta cromatica, peccato che per far accomodare il vicino di posto il signore abbia rivelato che nel tragitto si era tolto le sue, probabilmente, scomode brogue dai piedi.
Mostrando che l’amore per il dettaglio continuava anche nel calzino, blu ça va sans dire, ma rivelando anche ben altro sul quale il buon gusto mi vieta di disquisire!
Ho poi avuto la prova di come l’uso dei felini nella moda, sdoganato nei nostri anni con le stampe di Kenzo, poi grazie ad Alessandro Michele con la tigre sui capi di Gucci, pian piano si sia insinuato anche laddove pochi potrebbero aspettarselo: ad esempio come stampa sul beenie indossato da un controllore, che aveva chiaramente freddo alle orecchie e dalla faccia che ricordava più il paffuto angelo del video “There must be an angel” degli Eurythmics, da sempre monito di come non ci si deve vestire a carnevale, piuttosto che il biker selvaggio e spericolato che il caro signore pensa di essere.
Vien proprio da ricordare Miranda quando dice del ceruleo: “…alla fine si è infiltrato in qualche tragico angolo casual, dove tu evidentemente l’hai pescato nel cesto delle occasioni”.
Lascio per ultimo il tenerissimo teenager genderfluid che portava fiero una decolorazione bionda dei capelli che neanche la migliore Madonna di “Papa don’t Preach”, faceva pensare a Troye Sivan, peccato che nei suoi discorsi con le compagne di scuola la star della musica più citata fosse Fedez e che quindi probabilmente la star di “My My My!” non fosse probabilmente da lui neanche conosciuta per sbaglio.
E non crediate che questa riflessione nasca dallo snobismo di uno che lavora nel mondo della moda.
Trovo in realtà tutto molto divertente e ancor di più provare a pensare che cosa ognuno di questi personaggi potrà mai aver pensato del signore cinquantenne con il cappellino da baseball con un orso ricamato, il foulard rosa e un marea di spilline sul revers della giacca.
Il signore in questione sono io e comunque risolviamola, ringraziando Oscar Wilde, con un: “La moda è ciò che uno indossa. Ciò che è fuori moda è quello che indossano gli altri.”
foto: Andrea Ferrato