27 Feb Celo celo manca | Claudia Vanti
Passano gli anni e le stagioni, cambiano i siti web (già) e le vie della città, che quando ci ripassi “ma che negozio c’era qui??”, un mese dopo non te lo ricordi più, ma quello che non cambia è la scadenza dell’inevitabile mese di sfilate; poco il tempo di intervallo occupato a guardare gallery di inutili red carpet e poi, di nuovo, l’orgia di passerelle che annulla la capacità di discernimento e il senso critico (“carino. Sì, non è male”).
Solo che ormai non si tratta di “un” mese su sei, ma di una specie di Moloch infinito e vagamente opprimente, diluito fra preview e precoll., resort show ai quattro angoli del pianeta ed eventi “fuori calendario”.
Un lavoro e una comunicazione ininterrotta con i brand che quotidianamente propongono immagini, suggestioni, prodotti – ovviamente – che si fondono in una macro tendenza nella quale “vale tutto”.
La diversità è la cifra della nostra epoca, o lo sarebbe in linea teorica – sperando che non lo sia solo nel Libro dei Sogni – e questo si traduce in una congerie di ispirazioni che convivono insieme, per assonanza o per contrasti non importa.
Il mix poliestetico domina anche i casting delle sfilate e dei servizi fotografici: già ampiamente metabolizzate fluidità di genere e di età, affrontata con qualche oscillazione e ambiguità la questione afroamericana, lo zoccolo duro del fashion politically incorrect era, fino a poco fa, la taglia.
Ahi, proprio ora che fra lookbook e show abbiamo visto:
Bobby Gillespie indossare parte della collezione donna di Acne Studios
La prima modella transgender – Anjali Lama – alla Mumbai Fashion Week. A Mumbai. Perché intento, New York
- Stav Strashko
- Casil Mcarthur
- Vincent Beier
- Avie Acosta
E Valentina Sampayo sulla copertina di Vogue Paris.
Gucci, con uno show antimoderno nel quale tutto è pescato da molti bauli di ricordi e souvenir, ma il cui senso è nell’estrema fluidità di ispirazioni e di generi, senza barriera alcuna a partire da un casting che ha ospitato anche una brava e iconica attrice come Silvia Calderoni.
Benedetta Barzini in passerella da Simone Rocha, con la coetanea Jan de Villeneuve e le giovani cinquantenni Marie-Sophie Wilson, Cecilia Chancellor e Kirsten Owen.
Winnie Harlow un po’ ovunque, e quindi, dopo tutto ciò perché rischiare di inciampare nell’ultima frontiera dell’esecrazione?
Perché, già, si ha voglia a spiegare che il focus non è sulle modelle ma sugli abiti, che una certa “uniformità” di chi indossa serve a dare risalto agli abiti, che presentare capi su taglie diverse è poco comodo, quasi un su misura che non c’entra niente con il ready to wear, e che, sì, insomma, si tende a ricreare l’immagine disegnata ma poi si sa che la realtà è diversa..ma no, ci sarà sempre qualcuno pronto a chiederne conto.
E allora che sia, embrace body diversity! e via: Ashley Graham, Candice Huffine, Saffi Karina, Alessandra Garcia e molte altre purché tutte rigorosamente sopra la taglia 50 (ma il banale “normotipo” – la 42 o 44 – che male ha fatto dunque?)
Quindi cosa manca per non infrangere il sogno di essere aperti e di mostrarsi al mondo come una piccola isola di diritti sociali riconosciuti ed esibiti?
Anche sulle passerelle di Milano è arrivata la prima modella con lo hijab, dopo il debutto con Yeezy di Kanye West. Halima Aden, diciannovenne somala del Minnesota, deve essere sfuggita a Salvini – e si spera che continui a sfuggirgli – perché altrimenti altro che palme!
Perciò tutto è bene quel che finisce bene, con solo una trentina d’anni di ritardo abbiamo realizzato l’auspicio delle vecchie campagne stampa di Benetton, ed era ora. E sarà sempre tutto spontaneo, naturalmente, senza alcuna concessione al marketing.
Poi, fuori, purtroppo c’è il mondo reale.