26 Giu Lo stile del futuro | Stefano Guerrini
La moda è morta? Viva la moda!?
Dovreste essere sordi e ciechi, vivere su Marte o pensare che la storia del ceruleo (recuperare “Il Diavolo veste Prada”, grazie) sia falsa e che, esempio, la polo del marchio superfigo del momento che indossate vi sia per sbaglio capitata addosso piovuta dal cielo, per non aver sentito dire in giro, persino i Tg più ‘old style’ hanno provato a darla come notizia, che il sistema moda come lo conoscevamo sta tirando gli ultimi colpi, seppellito da tutto un nuovo mondo fatto di influencers e millennials.
Sorvolando sul fatto che proprio a voler esser precisi i millennials son già vecchi e il nuovo target è la Generazione Z anche perché, come mi ha fatto notare la figlia di una mia cara amica, visto che nelle scuole dell’obbligo non ci sono più ragazzi classe 1999, il nuovo che avanza sono loro, quelli nati dal 2000 in poi, cresciuti con computer e cellulare, che a pochi anni comunicavano già con Whatsapp e per i quali se l’iPod è oggetto anteguerra, il walkman è talmente giurassico da risultare curioso.
Ma torniamo alla moda, i segnali che le regole ben precise di un sistema stiano crollando arrivano da ogni parte.
Marchi importantissimi hanno ufficialmente smesso di investire sulle uscite cartacee, d’altra parte alcune testate sono talmente ancorate al guadagno e agli investitori rimasti che pur di non lanciarsi a parlare di nuovo, giovane e cool, che però non ha budget per investire, preferiscono uscire con numeri di 60 risicate pagine, che neanche le fanzine anni Sessanta sembravano così tristi.
Poi ci sono i marchi uber-cool che discontinuano la collezione che andava in passerella, preferendo operazioni guerrilla, dal successo incredibile, gestite da agenzie che son talmente avanti da aver fatto fortune di brand in altri settori e ora sconvolgono le regole di un fashion system che per troppo tempo si è sedimentato su noiose presentazioni e défilé sempre in ritardo.
Mai come alle ultime sfilate maschili milanesi si è respirato questo clima da: “Sta per succedere qualcosa, ma non sappiamo bene cosa!”, perché fra grandi assenti, nomi che preferiscono sfilare con entrambe le collezioni durante la settimana della moda femminile, e brand stranieri non sempre così interessanti, la fashion week uomo è diventata una semplice tre giorni e speriamo che a gennaio non siano solo due.
E in un panorama con pochi grandi rimasti a sfilare hanno brillato la capsule collection Diesel Red Tag by Glenn Martens, per la quale il marchio famosissimo di denim si è affidato ad uno di quei creativi che amano rileggere e sconvolgere, ma anche quella fiera, il White Street Market, che ha deciso di aprirsi completamente al pubblico, quindi con possibilità di acquisto, offrendo anche un calendario di talk e incontri con figure chiave di un settore che sembra sempre in fermento, quello dello street style appunto.
In entrambi i casi si è respirato spessore e cultura del prodotto, capacità di approfondimento.
A questo si unisce il fatto che ultimamente risultano vincenti quei nomi che sanno esaltare un heritage: Versace, o la profonda conoscenza non solo di forme e materiali, ma anche del target di riferimento; Alessandro Sartori, bravissimo da Ermenegildo Zegna, e che marchi importanti si affidino a signori che di cultura del prodotto ne sanno a pacchi; Dior Homme che ha scelto Kim Jones, un genio dell’urban e sporty style ancor prima di approdare da Louis Vuitton e ora, appunto, da Dior.
Tutto mi sembra andare in una direzione ben precisa: non c’è spazio per gli improvvisati e per chi non ha cultura.
Se un mondo sta finendo, e forse non sappiamo ancora cosa ci sarà dopo, ci auguriamo che il presente o un futuro a breve sia di chi abbia voglia di approfondire, di chi ha spessore, di chi sa raccontare ancora una storia fatta di eccellenza e qualità.
I segnali ci sono.
foto: Andrea Ferrato