06 Mar Un inferno pieno di buone intenzioni | Matteo Lion
Joan as Policewoman è una delle artiste che amo di più vedere dal vivo.
La prima volta la vidi all’Estragon a Bologna nel novembre del 2006, per i tour di lancio del suo primo disco “Real Life”, e me la ricordo infinitamente tenera presentarsi sul palco con una tazza fumante di tisana, rendendo subito il concerto un esperienza intima di condivisione.
Nel 2008 tornò a Bologna per un concerto gratuito in piazza Santa Stefano, quindi in un contesto molto più pop, divertito e inclusivo.
Nel 2011 la vidi alla festa dell’Unità di Carpi, dove guardandosi intorno tra uno stand gastronomico e la pesca di beneficenza disse la mitica frase: “È un posto meraviglioso, non abbiamo niente del genere a New York”.
Tornò poi in Italia nella cornice chic dell’elegantissimo Trussardi Cafè nel 2014 per uno show-case raffinato e stiloso.
Dopo pochi mesi, in Aprile, la vidi al Bronson di Madonna dell’Albero a Ravenna per un set energico e pieno di groove.
Infine alla fine del 2016 ancora a Bologna al Locomotiv con il concerto in coppia con Benjamin Lazar Devis vestita con una tuta blu da metalmeccanico.
Un artista indefinibile e in costante mutamento.
E quindi perfetta e molto richiesta per le più diverse collaborazioni e duetti, come “Protect Me from What I Want” con i Placebo, con gli Afterhours in “Senza finestra“, con i fratelli Wainwright per un esibizione live di “Halleluja” o con i Gramercy Arms in “Beautiful Disguise“.
È appena tornata con un nuovo disco, che mi ha incuriosito già dall’enigmatico titolo “Damned Devotion”, dannata devozione.
Un bizzarro gioco di parole, quasi un ossimoro nell’accostare due termini in così forte antitesi tra loro.
La devozione, quel forte sentimento di amore spirituale, è definito dannato e quindi condannato alla pena dell’inferno.
La devozione è spesso riservata ai santi. Proprio perchè Dio sembra un modello troppo pretenzioso, i santi, così simili a noi, sono più terreni e si può scegliere tra una gamma più variegata.
Siccome sono creature terrene sono contraddizione; perché sono Dio e, al tempo stesso, infinitamente altro da Dio.
Joan Wasser è essa stessa una persona contraddittoria e soprattutto pronta a giocare con le sue varie anime, sante e profane che siano.
E anche questo disco ne ha molte di anime, anche in contrasto tra di loro.
Raffinato ma ruffiano, può essere una giusta sintesi?
Il disco è molto ben suonato e le canzoni molto stratificate e con arrangiamenti molto particolari.
Però la cantante ammette candidamente che abitando in centro a New York la sera dopo le otto non può più suonare il piano senza infastidire i vicini.
Quindi ha composto il disco scrivendolo molto al computer con le cuffie in testa, programmando ritmi e loop con la collaborazione del batterista Parker Kindred.
Il ritmo di questo disco è però funzionale ai testi, grezzi e liberi, e alle tipiche melodie malinconiche di Joan.
La canzone trainante del disco è “Tell me“, che ha un video in cui Joan si trasforma in molte donne diverse, quasi a voler ricordare al pubblico il suo essere una, nessuna e centomila.
Recentemente l’ha suonata dal vivo anche nel nuovo programma di Manuel Agnelli su Raitre.
“Dimmi, dimmi, dimmi / cosa vuoi?” chiede ossessivamente Joan Wasser per tutto il pezzo. E dietro quella che può sembrare un orecchiabile canzone pop, con dei controcori assolutamente ammalianti, si celano interrogativi fatali. È un disperato desiderio di un dialogo più intimo con l’amato. “Devi separare ora ciò che è reale, ciò che non è reale”, canta con convinzione. E bisognerebbe smettere di usare la gelosia o la paranoia, non reali appunto, come pretesto per essere evasivi e non dire chiaramente di cosa “realmente” si sente il bisogno o anche il desiderio.
Insomma un invito a sperimentare la trasparenza e l’onestà nel rapportarsi con l’altro.
La mia canzone preferita è “Wonderful” un pezzo in bilico tra soul, jazz e musica pop. E anche qui Joan ci mette in guardia ricordandoci che anche quando la vita ci sembra meravigliosa dovremmo ricordarci di lottare per mantenere vivo quel senso di felicità.
In “Warning Bell“, ammette che lei non sente i campanelli d’allarme che suonano per farci farci evitare errori – come relazioni inconcludenti – perché tutto ciò che sente è musica “morbida e bassa”.
in “Talk About It Later” i suoni si fanno più dark e freddi e nella canzone Joan canta che la mancanza di comunicazione la porta a mettere in discussione la stabilità di una relazione.
“Valid Jagger” e “Rely On” sono i pezzi più innovativi nel repertorio di Joan, con il loro suono industriale e pieni di sintetizzatori.
E assolutamente irresistibile è anche il funky vintage “Steed (for Jean Genet)”, omaggio sensuale e trascinante all’autore di “Querelle de Brest”.
“Soltanto azzuffandosi con i propri eccessi, con le proprie contraddizioni, con i propri gusti, disgusti e furori, soltanto così è possibile intendere un pochino, sì, dico bene, un pochino, il senso della vita.”
E questo disco ne può essere la degna colonna sonora.
Se volete vederla dal vivo le prossime date in Italia sono:
24/03/18 Marghera (VE), Spazio Aereo
25/03/18 Firenze, Viper
27/03/18 Milano, Salumeria della Musica
28/03/18 Roma, Auditorium Parco della Musica