16 Lug There is a kingdom | Alberto Guizzardi
La mia prima recensione ufficiale avvenne nel 1988 quando un amico mi convinse a scrivere per il mensile universitario di Azione Cattolica.
Troppo grossa fu l’occasione, anche per un ateo convinto come me e senza pensarci molto dissi di sì.
Il film prescelto fu “Il cielo sopra Berlino” che in quell’anno aveva furoreggiato portando al cinema tanto pubblico con incassi che all’epoca facevano solo i blockbuster.
Si era creata una congiunzione di tasselli che rendevano il film un must-see: l’autore cool del momento Wim Wenders dirigeva, Peter Falk in versione se stesso e l’incommensurabile Bruno Ganz erano gli interpreti principali; il film che si alternava dal bianco e nero al colore in funzione del punto di vista dei personaggi e una storia d’amore che nasceva tra un angelo e un essere umano.
Fu un trionfo
La definitiva epifania del film avviene nella parte finale all’interno di un hotel trasformato in club dove durante un concerto di Nick Cave, sulle note di “From her to eternity“ l’angelo Bruno Ganz, abbandonata la sua natura superiore potrà farsi vedere in tutto il suo essere dalla donna che ha iniziato ad amare.
Nick Cave ha ricordato quell’esperienza memorabile durante un concerto a Nottingham a cui ho avuto il privilegio di assistere a fine giugno.
Quel concerto è stato lo zenit di 6 mesi di full immersion che mi ha portato a conoscerlo come artista in tutte le sue sfaccettature.
Quello che era negli anni ’80 un cantante emergente del panorama underground, con alle spalle l’esperienza post punk dei Birthday Party, si è trasformato nel tempo e con l’età in un signore che affronta nelle sue ballate l’amore, la morte, il rapporto con Dio, la ricerca di un senso della nostra presenza su questa terra.
In una delle sue canzoni più famose, “Into my arms “, troviamo il summa del suo pensiero:
“I don’t believe in an interventionist God
But I know, darling, that you do
But if I did I would kneel down and ask Him
Not to intervene when it came to you
Not to touch a hair on your head
To leave you as you are
And if He felt He had to direct you
Then direct you into my arms.”
A Dio quindi, a prescindere dal credere, ci rivolgiamo, quando abbiamo desideri, quando siamo in difficoltà, quando abbiamo domande irrisolte.
In fondo Dio può essere la proiezione del nostro Io, quasi un Dio di noi stessi, quello che in effetti ci deve dare le risposte che cerchiamo.
Questo flusso di coscienza viene inoltre condiviso con il proprio pubblico sotto varie forme.
Ad esempio il concerto di Nottingham si chiamava “Conversation with Nick Cave” dove il pubblico poteva interagire con il cantante facendo qualunque domanda, creando così una condivisione tra tutti i presenti di rara emozione.
Lo stesso modus operandi viene applicato nel suo sito “The Red Hand Files” dove senza filtri risponde a qualunque domanda posta dagli utenti.
In una risposta sul tema della solitudine afferma quanto sia importante per noi stessi non vivere separati da ciò che ci circonda, il mondo attorno a noi potrà essere crudele, ingiusto, triste, ma è nostro compito impegnarci comunque a renderlo migliore e questo ci servirà per sentirci parte di una comunità.
Troppo spesso la solitudine viene legata alla mancanza di amore, di un compagno/a, ma questa diventa la scorciatoia che non ci permette di affrontare i nostri problemi interiori.
In fondo, come afferma nella canzone “There is a kingdom“, ognuno è Re di se stesso e sta a Lui aprirsi verso ciò che lo circonda cercando però di rimanere se stesso.
“There is a kingdom
There is a king
And he lives without
And he lives within”