23 Nov Stati generali sulle emozioni | Alberto Guizzardi
La ipertecnologizzazione della società ci ha portato a essere meri fruitori di servizi sempre più impersonali che ci fanno desiderare, una volta raggiunto uno step, di passare a quello successivo, quasi fossimo in un permanente videogame.
Giocoforza si sono ridotte a piccole fiammelle quelle variabili individuali chiamate emozioni.
Nel saggio “Il libro delle emozioni” Umberto Galimberti mette in evidenza questa dicotomia creatasi tra le emozioni e la loro veicolazione.
Partendo dal loro studio empirico le emozioni vengono suddivide in platoniche che, semplificando, sono quelle che proviamo grazie alla nostra mente, senza la partecipazione del corpo, e quelle fenomenologiche dove invece è proprio l’unione tra mente e corpo a farcele provare.
La nostra società, sempre più tecnologica e virtuale, si sta dirigendo verso la prima direzione in quanto l’emozione diretta, che nasce da nostro sentire, è ormai quasi sempre sostituita da qualcosa che ci viene imposto e che è altro da noi.
Interessante al riguardo è l’effetto che tutto ciò ha sull’emozione estetica, quella che nasce da una reazione emotiva di fronte al bello.
Tralasciando quella più famosa di Stendhal davanti alle opere artistiche nel suo Gran tour italiano, la sensazione è che quel magico effetto che si ha di fronte a un’opera che sia d’arte, letteraria o musicale o semplicemente un bel panorama, sia stato anestetizzato dall’urgenza di far sapere al mondo che quell’opera è stata vista, ascoltata, letta, come se fosse più importante avere riconoscimento e approvazione che provare una reale emozione.
Il prezzo da pagare è però perderne il significato e il reale valore che questo aveva per se.
Galimberti paventa, soprattutto per i cosiddetti nativi digitali, un analfabetismo emotivo di ritorno che li riporti a uno stato primitivo del pensiero, dovuto principalmente alla difficoltà di vivere il mondo reale, sostituito ormai da quello virtuale.
Quanto siamo persi noi delle generazioni precedenti quando non abbiamo connessione o per dimenticanza abbiamo lascito a casa il nostro device? Si pensi allora quale è il rischio per i nativi digitali, ormai incapaci di avere un’alternativa, quando si trovano catapultati in quel mondo reale dove le regole di ingaggio sono a loro sconosciute.
Lungi da demonizzare le nuove tecnologie, Galimberti mette però in guardia dal rischio, i cui effetti iniziano a manifestarsi, di una società futura di persone rinchiuse nelle loro case a contare i like ricevuti da sconosciuti che abitano dall’altra parte del globo, a esprimersi con emoticon, ma che sono incapaci di relazionarsi e di veicolare il proprio sentire con il proprio congiunto, collega, vicino di casa.