03 Ott Sono su una strada solitaria | Matteo Lion
Ho appena letto un saggio interessante: “Musica da camera singola. Appunti sull’amore e sul farsi una vita” (Rizzoli) di Amy Key.
L’autrice parla della sua esperienza personale che non ha un amore romantico da più di 20 anni.
Lo ha cercato. A volte pensava di averlo trovato ma non era corrisposta allo stesso modo. Altre volte si trattava solo di sesso.
Sperimenta l’amore sotto varie altre forme: amore per se stessa, per le sue passioni, per gli amici, per la famiglia. È solo l’amore finalizzato alla coppia che le sfugge.
Ma il motivo per cui il libro mi incuriosiva è che, per raccontare la sua esperienza da single, l’autrice ha deciso di partire dalle canzoni del disco che per lei rappresenta la descrizione perfetta dell’amore, ovvero Blue di Joni Mitchell.
Inutile dire che è anche uno dei miei dischi preferiti, nonostante sia stato pubblicato 2 anni prima della mia nascita. Almeno una volta al mese sento il bisogno di mettermi comodo e ascoltarmi quelle dieci tracce in successione.
Secondo me il libro alla fine non è del tutto a fuoco. A volte sembra totalmente orgogliosa del suo ruolo di donna single. Altre volte invece sembra finita in un vicolo cieco da cui uscirebbe più che volentieri.
Invece ho trovato davvero interessanti i suoi pensieri legati alle canzoni e all’influenza che il disco Blue ha esercitato su di lei.
Lei dice:
“Il modo in cui tratteggia l’amore, la perdita e la nostalgia divenne una pietra miliare per milioni di persone in tutto il mondo, accompagnandole in molte stagioni della vita. È il genere di disco che si fa ascoltare all’altra persona nelle prime fasi di una relazione per esprimere sentimenti importanti”.
Ed è vero, se ami quel disco è perchè ti racconta con la sincerità e la poesia a cui non potresti mai arrivare cercando di descrivere te stesso.
Diventa una sorta di biglietto da visita con il nostro job title emotivo.
L’autrice aggiunge:
“Credo che ad affascinarmi fosse il modo in cui descrive gli intrecci complessi dell’amore. Era la prima rappresentazione di quel sentimento ad apparirmi sincera: l’amore come la cosa migliore e peggiore che potesse capitarmi, gioia e sofferenza”.
Insomma, non la solita storia che l’amore ti salverà e ti renderà felice. Ma il disco ti dice che sarà bello e brutto allo stesso tempo.
Infatti in un passaggio del libro l’autrice riprende un’intervista di Joni Mitchell in cui la cantante disse che creava “accordi interrogativi”, voleva un suono che fosse “una domanda” in ogni accordo.
E infatti Blue comincia proprio con una domanda: Looking for something, what can it be?
E infatti Amy Key precisa:
“Le canzoni di Joni non mi dicono mai che non sono nessuno perché non ho una storia d’amore. Le sono grata. Non predica l’amore come unica cosa che conta per sentirsi realizzati. Trovo conforto nella sua incertezza sulla prossima mossa da fare. Restare o andare, rimuginare su cosa ci toglie l’amore o quello che ci regala”.
Ad esempio nella canzone Carey, anche se a Joni piace quel vecchio meschino di Carey con cui si trova a Creta, lei sogna di tornare alla sua vita di tutti i giorni. Da sola.
A costo di rimanere da sola.
Come poi succede nella canzone successiva – la title track – Blue.
Nel libro l’autrice scrive: “Blue è l’ultima traccia sul lato A del disco. È un cambio di registro assoluto, ci sono solo Joni e il pianoforte. Sembra la canzone più intima dell’intero album, il nucleo attorno al quale ruotano gli altri brani.
Joni suona il piano come se stesse componendo il pezzo sul momento, nascosta da sguardi e orecchie altrui, dimentica di tutto. Joni si rivolge al suo amore: “Eh Blue, c’è una canzone per te”
Lui non è raggiungibile, è in alto mare, intrappolato nella forza devastante della dipendenza. La canzone è una preghiera in prossimità della riva.
A volte il canto è forte e appassionato, lo slancio in avanti di un’onda. In altri momenti sembra insicura e stanca, sembra aver investito ogni briciola della sua vulnerabilità e ora può solo battere in ritirata”.
Quelle canzoni ci dicono che l’amore può bruciare. Può diventare scivoloso e sfuggirci dalle mani. Che ci potrà entusiasmare ma anche, subito dopo, non convincerci più.
Per cui scegliere di amare o decidere di restare da soli, sono entrambe posizioni ragionevoli e accettabili. Spesso sono posizioni provate in contemporanea, paralizzando la scelta.
Infatti nel libro l’autrice aggiunge:
“Quando amo una canzone c’è quasi sempre un momento che alle mie orecchie suona come immagino suoni la verità, come se la verità fosse qualcosa che puoi sperimentare solo attraverso un suono. È il momento del brano che tocca ferite che non pensavi di avere, la parte di te dolorante, negata. Ti scova sempre. In River questo punto arriva quando Joni abbassa la voce, il registro, e canta come se stesse parlando: oh, avrei voluto un fiume. È dove il desiderio si fa più lamentoso, dove lei è più vulnerabile”.
Conclude dicendo che:
“Un caffè nero con cui coccolarsi. Più ascolto quello che si dice nelle canzoni di Blue, più mi sento consolata sui miei desideri incasinati. Il modo in cui ho odiato un pò e amato un pò. Il mio bisogno di ritirarmi e fuggire, il mio muovermi avanti e indietro tra sentimenti apparentemente contraddittori e paralleli, creandosi attorno un bozzolo di indecisione. Sento questa ambivalenza che attraversa tutto Blue”.
Non credo che oggi vengano prodotti dischi di cui ancora parleremo tra 50 anni.
Blue tra l’altro non è neanche su Spotify. Eppure ancora oggi è così citato e rimane un metro di paragone.
Nelle ultime settimana, forse perché suggestionato da questa lettura, mi sembrava di intercettare solo canzoni che parlano a quella marea di persone single per scelta, per delusione o perché non ricambiate.
Credo che Joni avesse individuato un target (anche commerciale), destinato a moltiplicarsi.
Una recente indagine ha stabilito che il 72% dei Millennials non sia in una relazione stabile, così come il 75% della Generazione Z.
I dati Istat dicono che una persona su due sia single e viva da sola (+39% negli ultimi dieci anni).
C’è chi si ritrova solo suo malgrado e spera sia solo una fase passeggera. Come Sufjan Stevens che nella sua nuovissima Will Anybody Ever Love Me? si chiede con la sua onestà disarmante:
“Qualcuno mi amerà mai? Per buone ragioni. Senza rimostranze, non per sport. Qualcuno mi amerà mai? In ogni stagione giurerà fedeltà al mio cuore”.
Una volta qualcuno ha detto che per innamorarti, devi avere tanto tempo libero.
Sufjan Stevens invece ora è ricoverato in ospedale dove gli è stata diagnosticata una malattia autoimmune, costretto in una sedia a rotelle e sta seguendo della riabilitazione nella speranza di riuscire ancora a camminare.
Insomma credo abbia altre priorità.
È uscita anche una cover di Why Spend a Dark Night with You? di Moondog, ri-arrangiata dalla Kronos Quartet and Ghost Train Orchestra e cantata da Joan As PoliceWoman. La canzone ripete in modo ossessivo il mantra: “Perché passare la notte oscura con te? Che prezzo spaventoso da pagare! Altre notti lo sarebbero. Secoli lunghi e bui per me”. Lo diceva già Petrarca: l’amore con l’amore si paga. Ma per alcuni quel prezzo da pagare può sembrare eccessivo e l’affare non sembrare così conveniente.
Marika Hackman è tornata con la sua nuova canzone “No Caffeine”.
È una canzone che elenca un sacco di buoni propositi come, ad esempio, cercare di dormire, passare più tempo con gli amici e meno attaccati al telefono.
E riguardo ai sentimenti il suo consiglio è diretto: “Stai lontano dall’amore“. Quasi a proteggersi. Farlo per volersi più bene, proprio come limitare la caffeina. E infatti nel ritornello ammette: “Perché mi hai preso bene e ora mi sento così stupida”.
Dopo anni hanno pubblicato una canzone anche i Dark Dark Dark.
Something Was There, ed è praticamente un capolavoro. All’inizio ci sono un piano e una batteria che sembrano darsi supporto e suonare all’unisono. Ma poi il piano accelera e va in una direzione e la batteria resta a battere un ritmo implacabile. E infatti la canzone parla di una separazione. “Hai il tuo e io ho il mio. Cosa condividere? Vai al diavolo. Beh, puoi tenerti il tuo e il mio lo tengo per me“.
Anche Brunori Sas ha pubblicato una nuova canzone “La vita com’è” (che all’inizio mi sembrava un plagio di Who needs Who proprio dei Dark Dark Dark).
E dice: “no, non è che l’amore non ritorna più. Anche se tornasse indietro non ci troverebbe più. Perché sai l’amore com’è. l’amore non è come volevi tu“.
Dopo una delusione, possiamo decidere di non farci più trovare aperti e disponibili per rimetterci in una nuova relazione.
Da soli ci si può sentire meno soli che all’interno della coppia sbagliata.
E solo questione di abituarsi nuovamente alla solitudine.
E infatti anche Annalisa nella sua nuova canzone che probabilmente sarà il tormentone delle radio ammette: «Forse non mi sento più sola, sola, sola. Anche quando mi sveglio sola, sola, sola»
Un testo che parte dalla presa di coscienza e infatti la cantante ha dichiarato «quel momento in cui si comincia ad abbracciare il cambiamento. Sono tutti quei momenti che mi hanno condotta qui, dove sono ora. Alla fine di questa canzone. Mi sono ritrovata. E non sono più sola, ma con me stessa».