Memorie d(‘)estate | Andrea Ferrato

L’orologio di quelle estati era il numero di tende e di roulotte che riempivano il campo rasato.
Una specie di clessidra dove la sabbia era sostituita dalle residenze, temporanee ed organizzate, dei pallidi tedeschi perfettamente a loro agio anche nelle verande di plastica, verde, marrone o arancione.

I locali li guardavano sempre con ammirazione, ma un po’ come si guardavano in televisione le cose strane che combinavano gli americani.
Le roulotte che si piazzavano nella seconda metà del campeggio, quella vicina ai bungalow dei locali, segnavano all’incirca l’arrivo della metà di luglio.

Quelle estati avevano giornate che non finivano mai.
Una lista di cose inserite in una agenda scritta con l’entusiasmo del non doverci pensare; magari più o meno quelle dell’anno precedente ma ogni volta con uno smalto diverso, dato dal tempo che aveva rubato i dettagli.

Come se guidato da un rullio di tamburi, tutto era in crescendo verso la giornata del ferragosto per la quale qualcosa di eclatante andava organizzato; generalmente celebrato con la magia delle fiamme del falò in riva al mare (quelli che non si possono più accendere) con le spighe di mais sulle braci, rubate nei campi (quelle che oggi si comprano al supermercato).

Il giorno dopo qualcuno girava la clessidra e, a poco a poco, i tedeschi rossicci iniziavano a smontare le verande con un’esperienza evidente.
La seconda metà del campeggio diventava una coperta di rettangoli marroni che in qualche punto raccontavano momenti di giornate di vacanze.

Con matematica certezza arrivava la pioggia che, come i DJ che rallentano i BPM nelle prime ore del mattino, lanciava segnali chiari agli entusiasmi ancora caldi, accompagnandoli verso il ritorno del consueto.

Andrea Ferrato

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