14 Apr London Calling | Alberto Guizzardi
Nell’ottobre dell’anno scorso andai qualche giorno a Londra.
Ricordo il tempo inclemente, il vento, le giornate su e giù per la metropolitana, la bellezza della Tate Modern, la folla di Camden, l’infinita quantità di vinili da Rough Trade, le cene nei ristoranti sempre cari e non sempre di qualità.
Furono giorni vissuti con il desiderio di vedere tutto quello che si poteva e la sera stanco, andavo a letto distrutto.
Mi portai a casa, oltre a tosse e febbre che mi misero a letto un paio di giorni, la sensazione quasi stendhaliana di aver vissuto una continua vertigine di bellezza.
Londra non ha certo l’impatto estetico di altri luoghi; non è bella come Parigi o come tante città italiane.
Lo stato emotivo che nasce nei suoi confronti dipende da qualcosa di intrinseco che ti fa sentire partecipe di un grande evento che tutti i giorni si srotola davanti a te.
È una città inclusiva, aperta a tutti, come disse il sindaco Sadiq Khan il giorno che la Brexit era ormai un fatto compiuto.
Per capire lo spirito della città e non rimanere legati ad una visione puramente turistica consiglio la lettura del libro di Craig Taylor “Londoners”.
L’ho iniziato a leggere in queste settimane di tempo dilatato ed è come se le sensazioni che avevo provato in quei giorni avessero finalmente trovato casa.
La città raccontata è quella di chi Londra la vive, la abita, la ama, la odia, quelli insomma che non ne possono più fare a meno, nel bene e nel male.
Da ogni racconto emerge la peculiarità di questa città, ciò che la rende unica e al termine della lettura ti rimane un ritratto a più voci, a volte dissonanti, dove ti accorgi che magicamente trova il suo posto anche la tua.