18 Apr La parabola dei ciechi | Alberto Guizzardi
In un bellissimo quadro di Pieter Bruegel il Vecchio, visibile al museo Capodimonte di Napoli, un gruppo di ciechi in fila, mano sulla spalla di quello che precede avanzano in mezzo ad una landa desolata.
Il primo è già caduto in un fosso e gli altri, a seguire, faranno la stessa fine.
Che del destino degli uomini già secoli fa non si avevano grandi speranze lo dimostra anche il Giudizio Universale di Michelangelo dove, davanti a un Dio grave e solenne, ai castighi dell’inferno si contrappone un paradiso più spaventato per quello che vede sotto di se piuttosto che godersi la pace eterna.
Credenti o non credenti , questo senso di autodistruzione che l’uomo scientemente coltiva e persevera appare ormai innegabile; la dannazione eterna sarà anche lontana ma ci stiamo lavorando bene
Mentre i potenti della Terra giocano a Risiko sulla pelle delle popolazioni per perseguire la propria logica di potere che sia geopolitica o semplicemente commerciale, gli esseri umani si arrabattano come possono: c’è chi fugge dal proprio paese in cerca di un futuro o chi decide di unirsi a qualche lotta fanatica come segno di rivalsa nei confronti del presunto nemico.
L’integrazione tra diverse culture era già fallita, solo che ce ne siamo accorti troppo tardi; perfino le democratiche e accoglienti Svezia e Olanda hanno dovuto constatare il fallimento della loro politica..
L’uomo, che si impegna costantemente ad apparire come la peggiore delle bestie, sembra incapace di condividere le diversità , le può tollerare, ma non riesce a metabolizzare , rimangono sempre oggetto estraneo a se.
La speranza forse rimane nei piccoli gesti dei singoli e in questa visione così cupa appare quasi come un Ufo la piccola perla del regista finlandese Aki Kaurismaki, “L’altro volto della speranza“.
Khaled è scappato dalle bombe di Aleppo, dove è stata sterminata la sua famiglia; gli è rimasta una sorella persa nel viaggio tra i paesi Balcani.
Si ritrova in Finlandia dove cerca di ottenere asilo per non tornare in Siria.
Nel suo discorso davanti alla commissione, fredda e distaccata, rivendica la sua natura di essere umano uguale a tutti gli altri.
Sarà però l’incontro con un ex commerciante di camicie che abbandona il suo passato per esaudire il sogno di aprire un ristorante, a dargli quel calore umano e quella speranza che le autorità gli negano.
E qui Kaurismaki utilizza il suo tocco surreale raccontandoci, quasi come una parabola, una storia dove si può fare qualcosa in maniera disinteressata per uno sconosciuto solo perché una persona in difficoltà si aiuta.
Con un film di parte ma non ideologico ci viene rappresentata la forza del singolo che quando è libero dai pregiudizi e dalle forme mentali imposte dal comune sentire è capace di innescare quel senso di appartenenza che ci dovrebbe tutti unire.
Quel senso di appartenenza che abbiamo disimparato a riconoscere spaventati da tutto ciò che è diverso.