12 Dic Il passato comodo | Stefano Guerrini
Ricordo alcuni anni fa quando intervistai per la prima volta Benedetta Barzini, ex top model italiana, negli anni Sessanta a New York chiamata dalla direttrice di Vogue Diana Vreeland, poi giornalista e docente di moda, che ogni tanto si concede un ritorno sulle passerelle, chiamata da amici come Antonio Marras, fiera di tutte le rughe che segnano il suo bellissimo volto.
Una delle cose che non ho mai scordato di quell’incontro è quando mi disse che se ci mettessimo ad osservare la gente in metropolitana e potessimo viaggiare fra epoche, non ci accorgeremmo della differenza di stile e quindi di decadi, la gente si veste allo stesso modo da quarant’anni buoni in qua e, salvo trend passeggeri, i nostri guardaroba non sono a livello macroscopico per nulla cambiati.
Ci ripenso ogni volta, quando qualcuno mi chiede cosa c’è di nuovo, cosa andrà di moda.
Se non cambia qualcosa in maniera drastica nella società, come può cambiare il nostro modo di vestire?
L’ultima grande rivoluzione è avvenuta perché era arrivata una nuova classe sociale, precedentemente non considerata, ovvero quella formata dagli adolescenti, e parallelamente era cambiato tanto, soprattutto, nel ruolo della donna.
Tradotto: la Swinging London con il suo Youthquake, la minigonna, il potere di acquisto dei giovani con prodotti creati ad hoc per loro, un ruolo più libero per le donne, che porta al femminismo con le sue lotte, sono l’ultimo grande sconvolgimento capace di produrre un cambiamento radicale anche nello stile.
E ora? Ora vale tutto ciò che sottostà ad una parola importantissima nei nostri anni: rassicurazione.
Sembra che una cupola protettiva di nostalgia abbia avvolto la moda e un po’ tutti i campi della creatività.
Lampante l’esempio di Gucci, il cui creative director Alessandro Michele manda in passerella collezioni in cui ogni singolo outfit potrebbe avere vita indipendente grazie al valore assoluto che gli arriva dalle molte citazioni che raccoglie, musicali, cinematografiche, artistiche o di stile che siano.
Ma questo sguardo al passato, quasi a voler essere rassicurati, rincuorati da ciò che in parte già si conosce e fa parte del nostro background visivo o culturale, torna un po’ ovunque.
Grazie alla risonanza mediatica di cui ha goduto “The Get down”, serie tv che racconta la nascita dell’hip-hop nella New York anni Settanta, lo stile b-boy è apparso sulle passerelle di Marc Jacobs e di Palm Angels e persino la nuova sneaker Tiziano di Ermenegildo Zegna Couture, fa pensare a certe scarpe ‘old school’.
Non parliamo poi del grande successo della collezione s/s 2018 di Versace che altro non era che un grande omaggio allo stile di Gianni, nel ventennale dalla sua morte, con abiti remake e supermodel di un tempo a chiudere la sfilata.
Tutti abbiamo gridato al miracolo, davanti ad abiti che, però, già conoscevamo bene.
Ma al cinema, oltre ai soliti supereroi, e se non sono rassicuranti loro, torna ad affascinare una storia pensata quasi un secolo fa da Agatha Christie, quell'”Assassinio sull’Orient Express” che forse conosciamo a memoria, ma che è così bello ritrovare sul grande schermo, mentre il successo in tv di “Stranger Things” ha scomodato critici illustri, tutti concordi nel sottolineare che la storia è un’intelligente, seppur un po’ ruffiana, versione moderna de “I Goonies”, con citazioni che vanno da “E.T.” a “Explorers”, passando per “War Games”.
Per non citare ritorni come “X-Files” e “Twin Peaks”.
Al cinema, in tv, nel nostro guardaroba cerchiamo costantemente qualcosa che ci sappia elettrizzare e che inevitabilmente sembra una rilettura, una citazione, un remake di qualcosa che già è stato, e proprio per questo ne risultiamo affascinati e rassicurati.
Resta da sapere quando arriverà quello sconvolgimento capace di portare davvero un cambiamento.
Ecco, non ditemi che questo non spaventa anche voi. Io nell’attesa mi rivedo le repliche di “Sex and the city”.
Più rassicurato di così!
foto: Andrea Ferrato