09 Mag Il musical di un poeta dolente | Matteo Lion
Il 26 aprile ho visto a Bologna lo spettacolo teatrale Lazarus scritto da David Bowie, poco prima della sua morte, in collaborazione con Enda Walsh.
Questo adattamento italiano vede alla regia Valter Malosti. Tra gli attori principali citiamo Manuel Agnelli nel ruolo del protagonista Newton, la vincitrice di una delle passate edizione di X-Factor Casadilego e la coreografa Michela Lucenti.
Non voglio rovinare la sorpresa a nessuno che ancora non abbia visto questo spettacolo e quindi cercherò di fare attenzione a non fare grosse anticipazioni.
Quindi comincio a dire cosa non è lo spettacolo “Lazarus”.
Forse alcuni spettatori, ingannati dalla locandina che riportava un grande ritratto di David Bowie, si aspettavano qualcosa di diverso.
Non è un tour di cover o un greatest hits delle canzoni di David Bowie, come per certi versi possono essere i musical “We Will Rock You” con le canzoni dei Queen o “Mamma Mia” con le canzoni degli Abba.
Ma è qualcosa di più.
Intanto è il modo per ascoltare alcune nuove canzoni scritte da David Bowie per lo spettacolo e di fatto resteranno le sue ultime registrazioni in assoluto.
Ci sono anche canzoni famosissime, sia chiaro. C’è un brano che puntualmente a tutte le repliche riceve gli applausi più fragorosi ed è Absolute Beginners, anche se ha un arrangiamento molto distante rispetto alla versione originale. Ed è meraviglioso vedere come queste canzoni valgono per quello che sono, ma anche per quello che rappresentano.
Io lo definirei quasi un’installazione artistica multimediale.
Certo, c’è una trama. Ma anche se uno spettatore entrasse a metà spettacolo – esattamente come può capitare per qualche installazione presente in una mostra – non saprebbe molto di più dello spettatore che è presente dall’inizio.
Lo spettacolo è un continuo “qui e ora”, come lo può essere un sogno agitato dopo una sbronza. Ha continui cambi di piano, di senso, di luogo e di registro.
A ripensare che David Bowie ha scritto questo spettacolo consapevole della sua malattia, forse sarà una suggestione, ma a me pare evidente che abbia cercato di mettere in scena “un sentimento” piuttosto che una storia lineare, con delle risposte e dei messaggi.
È uno spettacolo che sollecita l’istinto piuttosto che le nostre menti.
Infatti in una canzone scritta per lo spettacolo dice: “Sono perso nei flussi di suoni. Ecco, non sono da nessuna parte ora? Nessun piano“. E credo sia il consiglio migliore su come approcciare questo spettacolo: perdersi dolcemente, lasciando perdere appigli legati al “reale”.
Anche visivamente succedono tantissime cose in scena contemporaneamente.
È una continua sollecitazione da parte di schermi, attori, musica, luci. E se all’inizio si rimane un pochino frastornati nel tentativo di vedere tutto, un pò alla volta ci si concentra sui simboli che a noi parlano in modo più ancestrale. Quasi uno spettacolo nello spettacolo. E quindi si può seguire la scena non solo attraverso gli attori principali ma anche concentrandosi su delle coriste spettrali che si spostano continuamente, ci si può soffermare sulle installazioni video o semplicemente dal movimento circolare e ipnotico delle scene.
Ognuno troverà la chiave e la suggestione che lo faranno entrare in connessione con quello che viene messo in scena sul palco e i sentimenti che teniamo ben nascosti dentro di noi: l’orrore, la lussuria, la solitudine, l’alienazione, l’amore e la perdita.
È uno spettacolo inusuale, molto coraggioso. E il coraggio è parte essenziale del fascino di questo spettacolo
Se mi permettete un consiglio prima di andare a vedere lo spettacolo recuperate il film interpretato da David Bowie nel 1976 “L’uomo che cadde sulla terra” del regista Nicolas Roeg.
Infatti lo spettacolo è incentrato sullo stesso protagonista, questo alieno caduto sulla terra, che ora si è isolato nel suo appartamento quasi torturato dall’immortalità e in un continuo flusso di coscienza riflette sul suo passato covando la speranza di riuscire a lasciare la terra.
L’Arena del Sole ha organizzato il 28 Aprile un incontro aperto al pubblico dove il giornalista e DJ Massimo Cotto ha parlato dello spettacolo con il regista, Manuel Agnelli, il sindaco di Bologna Matteo Lepore e il Direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli.
Vi riporto alcuni passaggi interessanti.
Manuel Agnelli:
“I temi che ci sono all’interno di questa narrazione sono i temi che la maggior parte di noi ha vissuto: l’amore, l’abbandono, la solitudine, l’invecchiamento, il fatto di non ritrovarsi più nel posto in cui si sta e di avere un posto ideale – anche interiore – che si vuole ritrovare. Sono tutte cose che io sento come percorso della mia vita, che ho vissuto. Più lo faccio e più riesco a ritrovare dei ganci con quello che sono e quello che mi è successo. Più imparo il testo e meno ci penso e più sono meravigliato da quanta materia c’è, nella quale poi mi riconosco e mi ritrovo”.
“È bello perché riesco a viverlo con molto istinto, anche perché non potrei fare altrimenti perché non sono un attore. È un’esperienza di vita più che di lavoro. Avere la possibilità di interpretare un repertorio così gigantesco e meraviglioso e per me importante mi ha entusiasmato prima ancora di conoscere il testo e di parlare di dettagli. Questa cosa delle canzoni è stata la molla che mi ha portato ad accettare e che mi ha fatto avere la voglia di partecipare veramente. È stata la parte più stimolante come musicista perché – non voglio essere presuntuoso – ma nel riuscire a non fare delle cover secondo me stiamo dando un nuovo senso a certe canzoni che sono diventate sicuramente iconiche e che rappresentano quello che sono state ma che, in realtà, sono ancora vive e riescono a comunicare ancora adesso un’energia molto vitale e molto forte e molto potente che è quella che assorbiamo tutti noi ogni volta che le suoniamo e le cantiamo”.
“Ho questa fortuna di avere una palette di timbri che sono abbastanza vicini a quelli di Bowie per cui non devo neanche imitarlo tanto perchè le canzoni siano coerenti vocalmente. Questa è una grossa fortuna perchè fare l”imitazione di Bowie è impossibile e sarebbe stupido oltre che impossibile. Però nello stesso tempo non stiamo andando dall’altra parte. Non sono Axl Rose che canta Bowie… per fortuna di Dio. Comunque è più facile di quello che mi ero immaginato perchè ce l’ho nel DNA Bowie, lui e la sua espressività. Le sue linee melodiche sono difficilissime ma le so talmente a memoria che alla fine è stato più facile del previsto. E’ stato difficile non dare per scontato Bowie. Perché ce l’avevo così dentro che avevo paura di sentire io delle cose che poi invece non tiravo fuori vocalmente. Quindi sono andato a riascoltare i pezzi con l’orecchio di oggi e ripassare alcune cose”.
“Questa è opera scritta per essere un’opera rock. Stiamo interpretando un testo con della musica di Bowie così come si interpreterebbe Pirandello o Beethoven. Non siamo lì a fare Bowie. Siamo li a fare un opera di Bowie. Io non sono Bowie sul palco. Bowie non ha scritto questa opera perchè la interpretasse lui stesso. Le canzoni le ha scritte lui ma ha scritto l’opera perchè la interpretasse degli attori”.
Valter Malosti:
“È un lavoro complicato perché ha tanti piani di lettura. Ha una scrittura semplice ma allo stesso tempo visionaria. E’ difficile stabilire i tempi perché sono piani che avvengono nella testa del protagonista che in qualche modo esplodono e non si capisce mai se quello che si vede è vero o non è vero. Naturalmente noi abbiamo delle opinioni riguardo a questo ma è molto interessante capire come per tante opere di Bowie, sia poi chi ascolta che le definisce. La caratteristica di Bowie è che ognuno ci si riconosce a modo suo. L’opera nasce dalla volontà di Bowie che fin da ragazzo voleva scrivere un musical. In una delle ultime interviste prima dell’infarto del 2004 lui confessa che lui a 16 anni la cosa che proprio voleva fare era scrivere un musical per Broadway. Quindi questa cosa si concretizza alla fine della sua vita, che in parte sapeva che stava per arrivare e in parte no. Prima cerca di scrivere questo musical con Michael Cunningham l’autore de “Le ore” e doveva essere una drammaturgia strampalatissima con canzoni di Bob Dylan, Mariachi e la poetessa Emma Lazarus che poi ritorna anche nella scrittura attuale. David Bowie aveva in mente di fare un lavoro su personalità famosissime ma sconosciute. Emma Lazarus ha un suo poema inciso alla base della Statua della Libertà ed è un poema legato all’accoglienza. Detto oggi sempre incredibile ma diceva venite a me voi rifugiati, voi dalle vostre sponde povere e io vi accoglierò con la mia fiaccola d’oro. Emma Lazarus è un attivista di origine sefardita americana di fine ‘800 che accoglieva molti rifugiati ebrei. Purtroppo l’antisemitismo in quell’epoca è già partito in modo pesante. E’ curioso che Bowie la tenga come nome tutelare di questo suo lavoro e anche se poi non esiste più nel testo lui stampa questo poemetto e lo mette alla fine del testo teatrale. Bowie di fatto è un migrante su questa terra, si considerava tale, e forse lo siamo tutti noi. Un migrante interstellare”.
“Abbiamo deciso di orientarci verso il suono dell’ultimo Bowie e di essere liberi. D’altra parte Bowie ha costruito per tutta la vita una serie di maschere. Però una volta morto tutta queste serie di maschere sono svanite. Quindi ci ha lasciato questi testi musicali e i testi delle canzoni sono testi poetici. Fernanda Pivano diceva che era un poeta dolente. Questi testi musicali sono da interpretare, no? Ed è un lascito che diventa più importante di anno in anno. Tolta l’apparenza, che forse anche velava la grandezza compositiva di Bowie, rimangono questi testi”.
Gian Luca Farinelli:
“Bowie ha interpretato in realtà non tantissimi film, solo 25 film in cui interpreta dei ruoli. La cosa forse più sorprendente è guardare il numero dei documentari che sono stati dedicati a David Bowie che sono 16 e credo sia un caso molto unico”.
“In tutti i film David Bowie non è mai solo un interprete ma in tutti i film lui è David Bowie con tutto quello che si porta dietro, con l’enorme carico di complessità, ricchezza, sorpresa, carica rivoluzionaria”.
Al momento delle domande da parte del pubblico ho chiesto se potevamo sperare alla fine delle repliche di avere anche la registrazione di un disco cantato dal cast con le versioni utilizzate nello spettacolo come è successo per la versione americana.
Manuel Agnelli mi ha risposto: “È una cosa delicata che stiamo discutendo. Siamo contenti di quello che è uscito dal punto di vista musicale e sarebbe bello averne una testimonianza. È delicato perché è un personaggio enorme: ma alla fine cosa sarebbe? Fare uscire un video dell’opera potrebbe essere più sensato. Tutto sarebbe più contestualizzato all’interno dell’opera. Far uscire un disco sarebbe de-contestualizzare questi pezzi dall’opera e si rischia di farle diventare delle cover, delle re-interpretazioni. Se mi chiedi se mi piacerebbe ti dico, certo! Perché sono entusiasta di queste versioni”.
Se vi ho incuriosito e volete vedere lo spettacolo le prossime date sono:
dal 3 al 14 Maggio – Napoli
dal 18 al 20 Maggio – Lugano
dal 23 al 28 Maggio – Milano
1 Giugno – Ferrara
dal 6 al 18 Giugno – Torino