17 Feb Il male necessario | Andrea Ferrato
Il MAST di Bologna è uno di quei luoghi che ti scollega dall’ordinario per il tempo di una visita.
Difficile non immaginare di essere finiti improvvisamente in una città nord europea.
Zero spazio per l’approssimazione, tutto è in un ordine riposante e una cura rasserenante, anche i saluti del personale, che probabilmente fanno parte della loro routine lavorativa come la loro divisa, hanno il suono di una piacevole accoglienza.
È una realtà nata con fondamenta solide e questo rende il tutto più facile e più lontano da quell’approssimazione a cui invece siamo abituati, abituati anche a giustificare quando andiamo a vedere mostre con allestimenti arrangiati e personale annoiato.
Il MAST dedica una mostra alla sua collezione, ne crea un alfabeto e porta il visitatore in un viaggio nel mondo del lavoro industriale tra immagini che passano dal taglio documentaristico fino a quello artistico.
La mostra è imperdibile ma più si avanza, da una foto all’altra, e più uno strano disagio sale.
Quell’idea di abitudine che ci porta a dare per scontato dove siamo e come siamo ora; cosa abbiamo deciso di sacrificare e di considerare sacrificabile per arrivare dove siamo oggi.
Le persone, la dignità, la comprensione, l’umanità, la terra, l’aria, la natura.
Tutto questo lo vedi compresso, tritato, distribuito, sezionato, inscatolato, mescolato, contaminato e impresso in immagini sublimi e allo stesso tempo agghiaccianti.
In un progresso necessario l’essere umano si dimentica dell’essere umano.
Ecco, ci siamo abituati.
Nella mostra c’è una “falla”, un video che obbliga ad uscire dalla contemplazione di immagini perfette.
Sarah Cwynar racconta ben oltre quello che è il tema del video e con quella voce distaccata, tra le parole, quasi implora di spegnere quell’abitudine.