18 Giu Il fascino dell’immaginazione | Stefano Guerrini
Ricordo ancora come fosse ieri un viaggio in taxi che attraversò mezza Milano per portarci in Piazza Sei Febbraio, ora ci andiamo invitati in qualche show o party al Palazzo delle Stelline, proprio qualche giorno fa location della sfilata spring/summer 2020 di uno dei marchi più cool del momento, in quei tempi, forse il 1991, se la memoria non inganna, sede della vecchia Fiera di Milano dove si tenevano quasi tutti i defilè della settimana della moda milanese.
La sfilata di Dolce & Gabbana era appena terminata e in via Santa Cecilia, una viuzza a fondo cieco dietro San Babila, dallo showroom del duo che stava diventando famosi per la loro moda ispirata ai film neorealisti e alle dive italiane degli anni Cinquanta, non erano usciti solo gli ospiti alla sfilata, ma anche tutte le supermodel.
Immaginate Linda, Naomi, Cindy, Helena, Nadege, Karen, Marpessa nel momento di loro massimo splendore e ora immaginate me che le incontravo live per la prima volta.
Ecco, durante il tragitto su quel taxi, dopo aver fermato le divine per una foto, un autografo, una battuta, ricordo che pensai: “Signore, se vuoi farmi morire felice, fallo ora…”.
Un pensiero sciocco e infantile, del quale non é che sia poi così fiero, ma che ben spiega lo stato di beatitudine che avevo raggiunto in quel momento, e il livello di appeal che quelle ragazze potevano avere.
Ai miei studenti in fondo racconto sempre che se lavoro nella moda è colpa della cover di Vogue British, del gennaio 1990.
In quella foto cinque ragazze posano in maniera naturale, catturate per strada in uno scatto di gruppo ma quasi stile snapshot, tutte di una bellezza al tempo stesso ultraterrena e ‘girl next door’.
La foto in bianco e nero è di Peter Lindbergh e la vide un signore di nome George Michael che volle Linda, Naomi, Cindy, Christy e Tatjiana per il video del suo “Freedom 90”, inconsapevole che così facendo avrebbe cambiato la vita di tanti in giro per il mondo e fra questi quella del sottoscritto.
Rivedo come in un film la mia televisione, il video in anteprima, io che abbranco il telefono e chiamo la mia migliore amica, le lacrime agli occhi, per la consapevolezza che sullo schermo non c’era un teen idol, un sex symbol o qualcosa di simile, ma le immagini di un sogno che prendeva forma e che quel sogno non era poi così lontano.
Il tipico “You can’t sit with us”, attitude di cui era permeato un certo fashion system, con quel video era diventato più vicino, appetibile, realizzabile.
Fast forward ai giorni nostri, su un set ieri per un magazine internazionale con cui collaboro, stiamo fotografando un famosissimo modello quarantenne, uno che conosco a memoria, del quale potrei citare ogni gossip e ogni momento della carriera, ripenso a chi ero, a quel ragazzino davanti alla TV e dentro ad un taxi.
Dovrei forse essere fiero di me, del percorso che ho fatto, ma proprio mentre vedo posare quell’idolo, un po’ invecchiato, ma ancora affascinante, che si gira e mi sorride, sento che qualcosa manca, mi assale una malinconia che mi rabbuia e che mi porto a casa.
Non c’é più quel senso di innocenza, dello scoprire le emozioni di qualcosa che può succedere, mi sento orfano di tutti quei personaggi che idolatravo e che ora non ci sono più, figure sul cui lavoro la mia immaginazione ha galoppato, sulle cui immagini mi sono formato.
Il sistema é cambiato sommerso da una marea di progetti, figure, idee che solo apparentemente hanno democratizzato un sistema, ma invece lo hanno sbiadito, rendendolo alla portata di tutti, lo hanno però sminuito, facendo venir meno quello che era un punto di forza: la capacità di affascinare, ammaliare, far sognare!
E se l’eredità di questi fashion heroes che non ci sono più sia quella di riportare la dimensione del sogno in un mondo che non fa e non sa più sognare?
E se stesse a noi ora dover fare questo?
foto: Brunel Johnson