05 Mar Il bianco e il verde | Mirco Denicolò
Negli anni sessanta la plastica vinceva sugli altri materiali e velocemente entrava nelle le case.
Mia nonna ne era entusiasta, costava pochissimo e prometteva l’eternità.
Durante l’estate mi portava con sé a fare la spesa, dopo il fornaio ed il verduraio si passava nel negozio di articoli casalinghi, dall’odore del pane e basilico a quello un po’ nauseante di polimero appena espulso dagli stampi, un odore di progresso in un bottega senza nessun vero colore.
Lì si compravano le terrine per l’insalata, lo scolapasta, il portasapone, il tappetino da mettere nel lavandino, le tende per la doccia, il gancio per l’asciugamano con le ventose, il secchio per l’acqua, lo spazzolino per il bagno, il pappagallo per quando si ha la febbre e una moltitudine di altri oggetti che esistevano per la prima volta.
Per qualche equivoco della memoria associo adesso quell’odore e quegli oggetti alla monotonia delle tende e dei tendoni che vedevo mentre camminavamo e che tentavano di salvare i negozi dal calore e dalla luce.
In quel decennio, nel paese dove sono nato, non c’era scelta, la stoffa usata era uguale per tutti, rassicurante, garanzia d’ombra.
Le spese con mia nonna erano la sua voce, uno stordimento di profumi, l’alternanza di luce e oscurità, la certezza che il mondo fosse perfetto.