14 Ago Da una rete di cervelli ad un cervello che nasce dalla rete
Con un ragionamento di massima, perseguibile in una giornata assolata di agosto, pensavo al fatto che la rete ha due approcci principali.
Il primo, il più vistoso, è quello legato al come convogliare l’attenzione verso argomenti commerciali.
Se i media mainstream perdono le redini e non vengono più percepiti come i riferimenti principali per l’informazione in genere, la rete, in modo destrutturato e liquido, assume sempre più rilevanza anche se in modo frammentato.
La costruzione di “gradevoli aree recintate” e poli attrattivi dove convogliare sempre più persone, per poi tornare a comunicare in modo più o meno classico contenuti commerciali, è l’argomento primario della maggioranza degli oggetti che vengono costruiti per la rete.
Il secondo approccio invece direi che è sottotraccia.
Le persone usano la rete anche in una modalità naturale di cui forse sono poco consapevoli: un ulteriore modalità di connessione con le altre persone con cui sono in relazione o con cui vengono in contatto per una esigenza informativa legata a proprie necessità ordinarie e straordinarie.
Un semplice esempio come questo però lascia intuire le potenzialità che ne possono scaturire fino alla percezione delle basi di quella che potrebbe essere un’evoluzione dell’uomo.
L’intelligenza collettiva non è un tema nuovo, ne parla già nel 1937 Herbert George Wells in “World Brain”, ma oggi esiste un elemento nuovo che è la rete e che permette in modo naturale la condivisione e lo scambio di informazioni e di conoscenze. Se Wikipedia è il rimando più immediato ad un progetto di sapere comune e partecipato, viene anche da pensare che forse tra qualche anno lo ricorderemo come l’esempio più “banale” per utilizzare in modo costruttivo le potenzialità intellettuali delle singole persone.
Se per l’uomo ciò potrà essere un salto evolutivo, viene anche da pensare che in realtà ciò accade da sempre nel mondo animale e gli esempi migliori arrivano da specie molto lontane dalla razza umana. L’uomo ha sempre avuto un grande vantaggio, il suo cervello, ma l’attitudine all’individualità e al culto distorto (o contorto) dell’ego ha sempre diluito le potenzialità di sostanziali processi collettivi.
Oggi, oltre alle possibilità legate alla rete, sorgono due problematiche.
La prima è strettamente legata alla rete stessa e riguarda l’enorme mole informativa con cui ci troviamo a che fare.
Dalle ricerche di Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia, il cervello umano può arrivare a compiere 18 miliardi di miliardi di operazioni al secondo ma la contemporaneità delle operazioni avviene a livello inconscio per cui riusciamo a seguire, in modo consapevole, solo un tema alla volta.
Gruppi di persone interessate alle stesse tematiche possono diventare sorgenti di informazioni filtrate, usufruibili in modalità tutte da inventare.
La seconda è fisica: il nostro cervello è arrivato al capolinea. Simon Laughlin, professore di Neurobiologia all’università di Cambridge, nel suo libro “Work Meets Life” pubblica i dati di una ricerca secondo la quale il nostro cervello non ha più possibilità di crescere per motivi di spazio e di consumo di energia.
La folgorante conclusione dei media mainstream è stata la possibilità di una regressione della razza umana…
La prima cosa che mi viene in mente è che forse questo potrà essere un ulteriore stimolo ad iniziare a pensare in modo collettivo: minore consumo di energia, migliori risultati ed economizzazione dell’unica risorsa non rigenerabile: il tempo.