12 Giu Alice nel paese delle meraviglie di Federico | Alberto Guizzardi
La mia passione per il cinema nasce da ragazzino quando per me era una nuova emozione ogni volta che entravo in una sala cinematografica dove non ero mai stato. Ricordo che prendevo 2 o 3 autobus per andare dall’altra parte della città solo per il piacere di entrare in uno scrigno magico a me sconosciuto.
Erano gli anni 80 e presto la tv avrebbe spazzato via quei luoghi vetusti, per un po’ riconvertiti al porno, poi l’home video e le multisale avrebbero fatto il resto.
È con una certa emozione che qualche sera fa ho varcato le soglie del Fulgor di Rimini da poco restaurato con un gusto vintage come la sua storia merita.
Per chi non lo sapesse il Fulgor è legato a doppio filo a Federico Fellini dove qui da bambino vide i suoi primi film e dove si nutrì a piene mani la sua straordinaria immaginazione.
A fianco della sala Federico tutta stucchi dorati e rosso antico c’è la semplice sala Giulietta quasi a rappresentare la necessaria semplicità della moglie al fianco di cotanto Maestro.
È stata anche l’occasione per vedere il film di Alice Rohrwacher “Lazzaro felice” recentemente premiato a Cannes.
Il suo modo di fare cinema è antesignano a quello di Fellini essendo più vicino al neorealismo di De Sica o al naturalismo del primo Olmi.
Come in una favola c’è una marchesa cattiva che tiene i propri contadini in schiavitù nascondendo che la mezzadria è finita ormai da anni.
Tra questi Lazzaro è ultimo tra gli ultimi novello “Candide” sfruttato da chi è a sua volta sfruttato.
Tramite i suoi occhi ingenui osserviamo la natura umana destinata ad auto fagocitarsi all’infinito e nemmeno un evento straordinario a metà film riuscirà a cambiarne la prospettiva.
Alice Rohrwacher osa, rischia, spiazza lo spettatore, a volte sbanda ma con che forza porta avanti la sua storia senza mai diventare ideologica.
Lazzaro è un buono tout court, non nasconde altre verità se non quella di fare bene agli altri ma la sua natura semplice non può coesistere con la natura delle persone che lo circondano.
“Lazzaro Felice” è un’opera fieramente anarchica e fuori dal comune o almeno quel comune a cui ci siamo ormai pigramente abituati.