20 Apr God save the Queen | Alberto Guizzardi
Quando ho avuto la notizia della morte del Principe Filippo Duca di Edimburgo ho provato, nonostante la sua veneranda età, un moto istintivo di dispiacere.
Ho partecipato al funerale preferendo il canale Sky inglese che rispettava la liturgia rispetto a quelli italiani dove i commentatori disturbavano la sacralità del momento.
Mi sono commosso nel vedere la sua Lilibeth seduta tutta sola in uno scranno della cappella di San Giorgio a Windsor, piegata dal dolore e tutti gli altri parenti sparsi all’interno della chiesta con regolare mascherina per rispettare le norme anti Covid.
Sono stato infine tentato, ma questo non l’ho fatto, di lasciare un messaggio sul libro delle Condoglianze aperto sul sito della Royal British Family e con la possibilità di rimanere a perpetua memoria negli archivi reali.Tra i messaggi di cordoglio sono arrivati anche quelli degli attori Matt Smith e Tobias Menzies che hanno interpretato Filippo nella serie “The Crown”.
Quello che so di Filippo lo devo alla loro interpretazione ed è per merito di questa serie che posso dire di sapere tutto o quasi della famiglia reale. Conosco meglio l’albero genealogico dei Windsor che quello della mia famiglia.
La sensazione che ho avuto, anche confrontandomi con amici fan della serie, è che quella linea che divide la realtà dalla rappresentazione sia diventata pressoché invisibile fino a confondersi.
La realtà per me è quella della serie, un grande dramma shakespeariano, iniziato con l’abdicazione di un Re negli anni trenta del secolo scorso e che ricomprende tutti i topos narrativi delle nostre vite: la sua casualità e caducità .
Il potere per diritto ereditario, anche se in forma democratica, è qualcosa di totalmente anacronistico ma evidentemente ancora necessario.
Come per gli Dei dell’antica Grecia, questi sono Re e Regine con gli stessi vizi e le stesse virtù di noi “umani “
Non meravigliamoci se davanti al funerale di Filippo ci sorge il dubbio di guardare una puntata speciale di “The Crown”