24 Mag Alta Moda Alta cucina
Già non bastavano tutte le movie star vere o presunte che si inventano stiliste, e così, una mattina capita che si svegli una Lindsay Lohan qualsiasi con l’idea di creare una linea di abbigliamento, una collezione di scarpe, costumi da bagno o biancheria intima che sia… come se il mercato non fosse già abbastanza saturo di suo e occorra guardarsi da tutte le concorrenze indebite.
No, ora l’assalto alla residua capacità di spesa viene anche da fuori, dal temibile appeal della cucina, anzi, del “food”, e capita di leggere che “il cibo ha battuto la moda 1:0 e l’ha sostituita come trend topic”, trend topic nelle conversazioni e quindi probabilmente orienterà gli acquisti.
A parte che già si pone un problema di socialità e conversazione, perché onestamente, dopo un po’, ascoltare i quasi-sempre-maschi-neoadepti e/o neoconvertiti ai fornelli sui pregi dell’aglio selvatico è una gran fatica (come se fosse poi una cosa normale che si possano considerare varie qualità di aglio… ma a che serve? A tenere lontani i vampiri? Beh, dipende, che per Vlad/Gary Oldman – e non solo – si potrebbe anche fare un’eccezione), in più c’è il drammatico effetto ridondanza delle conversazioni a tema cucina mentre si mangia.
No, per favore, un film, un libro, un album (esistono ancora), le serie tv hanno già il loro spazio durante gli aperitivi, ma qualcosa di diverso c’è, volendo. Volendo si può arrivare anche a sesso-politica-religione, il galateo non lo consiglierebbe ma insomma, le alternative ci sono.
E poi, quando è che gli italiani si sono tutti votati all’idolatria della ricetta di nonna, diventando oggetto di ironia in rete e passando per l’equivalente in cucina dei grammar nazi (“pasta nazi”?).
Impiegare tantissimo tempo per recuperare ingredienti inseguendo la chimera di una qualità artigianale e naturale che a volte c’è e a volte no? (Sono cresciuta in campagna, “il contadino”, se non è per bene, ti frega come un qualsiasi supermercato della grande distribuzione).
No, andava bene per gli uomini del Paleolitico, ma anche loro, con la conquista del pollice opponibile, hanno capito che le mani non servivano solo a cacciare una preda e ad arrostirla, ma si potevano anche dipingere le caverne.
E lavorare le pelli a strisce di colori contrastanti, fabbricarsi un paio di stivali imbottiti e cose così, almeno dal Neolitico in qua.
Ma il cibo è cultura.
Sì, come molte altre cose, e si può lasciare un po’ di spazio anche ad altro, perfino a qualche vestito, e d’accordo, molte conversazioni a “tema Slimane” qualche settimana fa sono risultate altrettanto insostenibili per chi non è sensibile al fascino degli ultimi in&out (letterali) delle maison, ma anche qua, parliamone di meno e acquistiamo meglio, con un occhio alla qualità dei tessuti e al livello del design.
Andare alla ricerca del gelato fatto con la neve del Kilimangiaro (esiste, lo propone una gelateria di San Francisco) indossando una t-shirt prodotta male e a scapito di qualcuno è una contraddizione in termini.
E anche nonna, o forse bis-nonna, sarebbe contenta di un abbigliamento più consono, perché, oltre che la cacciatora, faceva anche dei sottopunti divini.