30 Nov Una sera prima del 2000 | Andrea Ferrato
Quell’uomo è arrivato di corsa, trafelato, alle spalle, mentre lei apriva la portiera dell’auto parcheggiata in uno di quei posti dove, quando serve, non c’è mai nessuno.
Quell’uomo ha visto solo una cosa morbida che stasera gli spettava; e le cose si prendono e si usano. In questo caso si sbattono sul cofano di un’auto fino a sistemarle nel modo più comodo.
Non importa come, nel senso che va bene assestare un pugno o sbattere una testa su un parabrezza o strattonare malamente un braccio.
Rosa all’inizio non ha urlato, il pugno l’ha disorientata e non ha neanche percepito il sapore crudo del sangue che le colava da un angolo delle labbra colorate di un rosso diverso.
Ma quando il fiato denso e unto dell’uomo le ha sfiorato la pelle che affiorava dalla scollatura, l’anima le ha urlato dalle viscere. Il suo corpo è scattato senza sapere come e l’uomo ha scoperto un altro modo di considerare un tacco a spillo: specialmente quando quasi si infila vicino allo strumento del suo riscatto.
Poi la fortuna di riuscire a chiudersi in auto, la fortuna di riuscire a partire senza vedere come perché le lacrime riempiono gli occhi e le grida fanno tremare le mani.
Rosa è distesa nella vasca piena di acqua bollente.
Questo è stato il primo indirizzo conosciuto che ha trovato lungo la fuga da questo mondo che adesso non riconosce più come il suo.
È entrata in casa con una scarpa sola e, mentre una Rosa singhiozzava di paura, una Rosa raccontava di un uomo che aveva appena tentato di violentare una donna. Le ho abbracciate entrambe e, percependo il suo disagio nel sentire un corpo vicino, l’ho fatta sedere sul divano.
Aveva trasformato la paura ed il dolore in parole e non smetteva più di raccontare dettagli; s’interrompeva solo per bere acqua da un bicchiere che teneva con entrambe le mani, quasi un rimedio per lavarsi via il nero che sentiva dentro.
Dentro quegli abiti di una donna che sa di piacere, ora c’era una bambina risvegliatasi improvvisamente in un posto che non conosce.
Dal bagno Rosa modula un suono spezzato da singhiozzi improvvisi che la scuotono leggermente; i cerchi che disegna nella schiuma si rompono e lei accarezza la superficie bianca come a riordinare le bollicine.
Non ha voluto chiamare nessuno, non ha voluto nessuno, almeno per il momento.
Questo è il momento di Rosa che invecchia di cinquant’anni nel tragitto di ogni lacrima.
Il suo cervello si riempie di mani che non avrebbe mai voluto sfiorare, di sguardi che non avrebbe mai voluto incrociare, Troppo. Urla ed accorro. Mi prende la mano e la stringe con tutta la necessità di voler ritornare a vivere.
Parliamo, per ore, e per fortuna in parte serve. Serve anche a me: a slegarmi dal suo arrancare disperato, a non giocare la nullità di uno spettatore davanti ad un televisore acceso su un canale vuoto.
Accucciata sul divano, dentro un accappatoio troppo grande, Rosa cede al primo sonno di quest’altra vita che inizia stanotte.
Mi metto al telefono “No, è andata bene… Ora dorme”